martedì 18 maggio 2010

Il Salone del libro, ma l'Italia ama leggere?


Il Salone del Libro di Torino ha superato la cifra record di 315 mila visitatori. Si smentisce che in Italia si legge poco?
E’ un grande successo, ottimo avvicinamento alla lettura, ma che si legge poco è una verità indiscutibile. Secondo i dati Istat 2009 i lettori italiani di un libro non scolastico sono stati meno della metà (45,1%) della popolazione sopra i sei anni. Di questi il 20% ha letto da uno a tre libri, il 17,9 da quattro a undici, soltanto il 6,9 dodici o più libri l’anno.

Esiste una mappa delle aree più «voraci» o più «digiune»?
Al Nord legge il 52% della popolazione, nel Centro il 47,4, nel Sud e nelle Isole il 31,6. Le cinque regioni con più dimestichezza con gli scaffali sono Trentino Alto Adige (57,5%), Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria, Piemonte. Le ultime Sicilia, Campania, Puglia, Calabria, Basilicata (34,3%).

Rispetto agli altri Paesi europei che lettori siamo?
Molto scarsi, preceduti da Svezia e Estonia, Repubblica Ceca, Finlandia, Regno Unito e altri quindici paesi. Sotto di noi sei stati, fra i quali Romania, Grecia, Bulgaria. Ma attenzione: sono dati di un confronto non perfetto, perché non sono omogenei i criteri di rilevazione adottati dai diversi istituti statistici.

La scuola crea nuovi lettori?
Ci prova, secondo inclinazioni, interessi e capacità degli insegnanti, ma gli esiti sono comunque tristi. Le percentuali di coloro che - tra i sei e i diciannove anni - non leggono un solo libro oltre ai testi scolastici oscillano tra il 36,4% (fra undici e quattordici anni) e il 45,2% (giovani di diciotto e diciannove): la fascia in trasformazione, più avventurosa, ha maggiore curiosità di quella adolescenziale, attratta da tv, personaggi, spirito d’emulazione. L’insieme dei dati rivela che tra i 6 e i 19 anni quelli che non toccano libro extra scuola sono il 45%. Ma ricordiamo che quando si calcolano con loro anche gli adulti la percentuale dei non lettori sale al 65%.

Come si spiega questa lontananza?
Giocano molti fattori: il modello in famiglia, l’abitudine fin da piccoli, la consuetudine con una biblioteca già esistente in casa, la spinta - non la forzatura - degli insegnanti sono una parte dei meccanismi che aiutano la lettura. Dall’altra c’è una società sempre più televisiva, dove vengono create storie e serie confezionate per quei target di età. Il libro - così come il fumetto - diventano «inutili» di fronte al cartone animato o alla serie adolescenziale amorosa.

Sui giovani è arrivato il caso Federico Moccia.
Il caso Moccia è stato biasimato da famiglie timorose di storie d’amore ritenute troppo in avanti per i figli (l’adulto e la ragazzina) o viceversa melense. Ma allo stesso tempo è stato benedetto in quanto avvicinamento al libro in alternativa al televisore: vuoi mai che si appassionino...
Perché si legge poco o magari niente e poi - ragazzi e adulti - ci si mette
in coda pagando otto euro d’ingresso?

Perché è una festa che non giudica quanto sei colto. Chi ha poca dimestichezza di fronte alla libreria si sente in soggezione, qui va a passeggio fra i libri ma anche fra i personaggi che ha visto in tv, non ha consuetudine con la carta però trova chi dibatte un argomento che gli interessa, non ha vergogna nell’uscire senza aver comprato nulla. E’ la grande piazza della cultura, che mescola livelli sociali e culturali lasciando tutti a loro agio.

Di fronte a questo quadro in che condizioni versa l’editoria?
Nel 2008 lavoravano 9.512 editori, i tre grandi Gruppi (Mondadori, Rcs, Ge.Ms-Longanesi), poi medie e piccole case con un fatturato (calcolato sui prezzi di copertina) di tre miliardi e mezzo di euro tra catene di librerie (sono circa 2.800), edicole, grande distribuzione e vendite dirette (rateali, per corrispondenza, etc.), con oltre 8.000 dipendenti interni e 17.000 collaboratori.

Le biblioteche servono per chi non può spendere?
Quelle con oltre 10 mila volumi sono circa 4.000. E il 21,3% della popolazione (quasi 13 milioni di italiani) vivono in comuni con oltre 10 mila abitanti e senza una sola libreria.

Quanto peserà l’e-book sull’editoria di carta?
Se n’è discusso molto in questo Salone. In un’indagine di mercato NielsenBookScan e in una ricerca dell’Aie (Associazione Italiana Editori) il 7,5 degli intervistati dichiara di aver già comprato o di essere in procinto di acquistare un e-book. Un altro 5,8% aspetta che ci sia disponibilità di un maggior numero di titoli italiani. Le cifre sono per ora lontane da quelle della vendita tradizionale, ma il processo, adesso segnato anche dalla moda e dalla rincorsa alla tecnologia, è avviato senza far presagire imminenti scossoni a carta e libreria.


fonte: http://www3.lastampa.it/domande-risposte/articolo/lstp/219732/

Cannes: Godard e Film Socialisme, peso del tempo e della memoria



CANNES (18 maggio) - Com’era da aspettarsi Jean-Luc Godard non è venuto a Cannes, in compenso ha inviato due lettere. La prima è indirizzata al direttore Thierry Frémaux, al distributore internazionale Wild Bunch e al produttore Vega Film. «Con il Festival andrei fino alla morte, ma non farò un passo in più» scrive Godard nella sua inconfondibile calligrafia. Nel biglietto, anticipato dal quotidiano Libération, anche due immagini: il regista giapponese di Viaggio a Tokyo, Yasujiro Ozu, e Stanlio e Ollio; in mezzo un fotogramma con un vocativo dal sapore beffardo: «O cervelli infantili».

In un secondo biglietto, per il solo Frémaux, Godard allude a non meglio specificati «problemi di tipo greco» (tragedia classica o crisi economica?). E la Grecia è anche al centro della vera “lettera” inviata al Festival, che naturalmente è il suo atteso quanto criptico Film Socialisme, proiettato al Certain regard in un’atmosfera di attento e silenzioso stupore. Come in Un film parlato di Manoel de Oliveira, curiosamente, quasi tutto si svolge a bordo di una nave da crociera che solca il Mediterraneo. Ma Godard ha tagliato da tempo i ponti col cinema narrativo e in Film Socialisme i personaggi servono solo a portare avanti una riflessione disseminata in forma di dubbi, quesiti, aforismi, citazioni delle più varie provenienze (storia, filosofia, letteratura, politica...). “Montati” in un dialogo continuo con le immagini, nella convinzione che il cinema serva a pensare meglio, ovvero a mettere a fuoco concetti e problemi altrimenti nascosti («Soprattutto non parlare: mostrare. Non parlare dell’invisibile: mostrarlo»).

A sentire Godard si tratta di «una sinfonia in tre movimenti». Nel primo compaiono una serie di passeggeri apparentemente in vacanza, un filosofo (Alain Badiou), un ambasciatore palestinese (Elias Sanbar), una cantante americana (Patti Smith), un ex criminale di guerra, un agente segreto. Nel secondo, semplificando, diversi bambini chiedono ai genitori (figure abbastanza inconsuete nel cinema di Godard) di spiegare parole come libertà, uguaglianza, fraternità. Il terzo infine è dedicato a sei luoghi mitici da «liberare e federare» (Egitto, Palestina, Odessa, Grecia, Napoli, Barcellona) se si vuole fare davvero l’Europa (la polemica contro l’Europa delle merci e del denaro scorre lungo tutto il film).

Chi conosce l’ultimo Godard sapeva insomma cosa aspettarsi, qua e là anche troppo. Ma si capisce la scelta di mettere Film Socialisme su Internet in contemporanea col passaggio al festival. Non è un’opera da vedere una volta, ma un lavoro da guardare e consultare a più riprese (Godard, piuttosto scettico sul web e sull’era digitale in genere, è un fan di YouTube e della sua visione frammentata). A una prima visione si impongono una serie di battute molto godardiane naturalmente: «Il denaro è stato inventato per non guardare la gente negli occhi». Oppure: «La novità è che oggi anche i mascalzoni sono sinceri». E ancora: «Non si parla con chi usa il verbo essere. Usate il verbo avere e tutto andrà meglio in Francia» (ma questo probabilmente è Balzac, uno degli autori citati accanto a Sartre, Benjamin, Derrida, Bergson, Genet, Christa Wolff, e molti altri).

A emergere con forza è l’estrema solitudine di un grande cineasta che ha scelto una strada senza ritorno e preferisce ormai elaborare immagini altrui (come quei trapezisti, presi da un film della Varda, usati come metafora di quello che dovrebbero fare israeliani e palestinesi); o lavorare di accostamenti, intarsi, elaborazioni, insomma montaggio, nel senso più ampio del termine. Vedi la nave da crociera che scarica i suoi passeggeri a Odessa, inevitabilmente accostata alle scolaresche in gita sulla scalinata resa immortale dalla Corazzata Potemkin, ma anche a immagini dello stesso film di Eisenstein (e di Ottobre), a comporre una vertiginosa riflessione sulla Storia, sul peso del tempo e della memoria, sulla nostra capacità (o incapacità) di imparare dal passato, che declinato nei modi più diversi è forse il tema dominante del Festival.





fonte: http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=102519&sez=HOME_CINEMA